Brunire – o meglio, “brunire a caldo” e “brunire a freddo” – significa creare sul metallo una pellicola di ossidi scuri aderenti che ne modificano l’aspetto e lo proteggono parzialmente da ossidazione e rigature. Il termine proviene dall’arsenaleria ottocentesca, quando le canne dei fucili venivano “blue-brown” per ridurre riflessi e inibire la ruggine; oggi la stessa tecnica si applica a coltelleria, minuteria auto, componenti meccanici e persino elementi d’arredo. Mentre la zincatura e la verniciatura aggiungono materiale estraneo, la brunitura sfrutta una reazione chimica che trasforma la superficie dell’acciaio – o, in alcuni procedimenti, dell’ottone e del rame – senza alterarne in modo significativo le dimensioni. Il vantaggio estetico è l’iridescenza che va dal grigio grafite al nero profondo; quello funzionale, la micro-passivazione che rallenta l’ossigeno atmosferico pur lasciando il pezzo conduttivo e lavorabile. Comprendere che non si tratta di un semplice rivestimento, ma di una conversione della pelle del metallo, aiuta a scegliere il metodo idoneo e a rispettarne i limiti: la brunitura non sostituisce un trattamento anticorrosivo severo in ambiente marino, né resiste a graffi profondi, eppure è ideale dove serve protezione sottile, omogenea e senza impurità spesse.
Conoscere i requisiti del pezzo prima di procedere
Brunire significa portare la superficie allo stato chimicamente più reattivo e poi stabilizzarla; di conseguenza il successo comincia dalla pulizia. Un acciaio al carbonio con inclusioni di olio, silicone o ruggine residua reagirà in modo irregolare, producendo macchie. È quindi fondamentale sgrassare con solvente privo di cloro – per esempio alcool isopropilico o acetone tecnico – e rimuovere il velo d’ossido con tela abrasiva fine o microsabbiatura leggera. Se il pezzo è tornito di fresco, i micro-trucioli taglienti vanno eliminati con spazzola in ottone che non rilasci particelle più dure dell’acciaio. Sul piano metallurgico, la brunitura classica funziona al meglio su acciai C40-C70; l’inox austenitico, ricco di cromo, oppone resistenza e richiede passaggi acidi più aggressivi o prodotti specialistici. Nel caso di ottoni e bronzi si parla propriamente di “patinatura” a base di solfuri o cloruri; la logica resta analoga: il metallo deve essere a nudo, privo di vernici e, se possibile, uniformemente satinato per evitare riflessi patchwork dopo la reazione.
Scelta tra brunitura a caldo e brunitura a freddo
La brunitura a caldo impiega bagni alcalini a 135-150 °C composti da idrossidi di sodio e nitrati o nitriti; forma magnetite Fe₃O₄ in pochi minuti, garantendo uno spessore di ossido di circa un micron con adesione eccellente. Richiede però vasche in acciaio inox, termostati, cappe di aspirazione e tute antischizzo, quindi risulta poco pratica per l’hobbista domestico. La brunitura a freddo, invece, utilizza soluzioni di seleniato di rame o sali di zolfo operanti a temperatura ambiente, più lente ma gestibili su banco. L’ossido che si sviluppa è simile per colore ma meno compatto, perciò i pezzi trattati a freddo vanno immediatamente oliati o cerati. In officine che trasformano piccoli lotti si preferisce un compromesso: riscaldare il bagno a 45-50 °C per accelerare la reazione pur restando sotto la soglia dei vapori caustici.
Preparazione del bagno e sicurezza personale
La chimica della brunitura a freddo moderna ruota attorno a due componenti: un sale ossidante (tipicamente seleniato di rame) che cede atomi di selenio al ferro, sostituendone gli equivalenti con formazione di ossidi neri complessi, e un tampone acido che mantiene il pH leggermente sopra 2,5 per stabilizzare il rame libero. La soluzione commerciale si acquista concentrata; la diluizione standard varia da uno a tre con acqua distillata. Poiché selenio e acidità sono tossici se inalati o ingeriti, l’operazione avviene sotto cappa o almeno con mascherina P3 e guanti in nitrile spesso. Il banco dev’essere coperto con vaschetta in polietilene, nessun utensile di metallo diverso dall’acciaio dovrà toccare la soluzione per evitare deposizioni galvaniche indesiderate. Una spazzola di nylon a setole corte sarà l’unico contatto meccanico con il pezzo durante l’immersione.
Sequenza operativa per la brunitura a freddo
Il pezzo sgrassato si ancora a un filo di ferro zincato privato della zincatura sulle estremità; la parte libera funge da maniglia. S’immerge lentamente nella vasca, assicurandosi che non rimangano bolle d’aria. Nei primi dieci secondi si nota un’imbrunitura grigiastra, indice di nucleazione degli ossidi; dopo due minuti la superficie vira al nero satinato. A questo punto si estrae e si risciacqua in acqua demineralizzata tiepida, muovendo il pezzo per staccare residui di sale. Un secondo passaggio di trenta secondi nella stessa soluzione accentua l’opacità e uniforma le tonalità, specie su spigoli vivi. Il tempo totale non deve superare cinque minuti: oltre, la patina diventa polverosa e perde adesione. Conclusa la doppia immersione, si risciacqua nuovamente e si asciuga con aria compressa filtrata da olio. Ancora tiepido, il metallo si spalma di olio da arma o di vaselina tecnica: l’olio penetra nei micro-pori e sigilla l’ossido.
Procedura semplificata per piccoli componenti
Se l’oggetto non supera i cinquanta millimetri – ad esempio viti o parti di modellismo – la stessa reazione può avvenire in becher di vetro con bacchetta di vetro per agitare. L’importante è adottare acqua distillata pura e cambi di liquido frequenti, perché la soluzione si satura di ioni ferro trasparenti che inibiscono l’ulteriore brunitura. In ambito hobbistico l’accorgimento vincente è preriscaldare il metallo su piastra termostatata a 35 °C: il calore accelera la cinetica senza produrre vapori aggressivi, riducendo il tempo di contatto a un solo minuto per mani più sicure.
Brunitura a caldo in laboratorio attrezzato
Quando si dispongono di vasche in acciaio e impianto di aspirazione si passa alla brunitura alcalina classica: si porta la soluzione di idrossido di sodio, nitrato e nitrito a 145 °C; il pezzo vi resta per dieci-quindici minuti, finché non raggiunge il medesimo colore glicine-nero in immersione. La reazione essenziale è 3 Fe + 4 OH⁻ + O₂ → Fe₃O₄ + 2 H₂O. Le pareti della vasca devono restare bagnate per evitare crusting di sale; l’estrazione va seguita da lava-vapor a 95 °C e immediata passata in silicato di sodio 0,5 % che sigilla i pori. Il risultato, se eseguito correttamente, offre una protezione pari a 48-72 ore in nebbia salina prima di comparsa di ruggine rossa, requisito tipico per parti d’arma o ingranaggi di utensili.
Finitura, manutenzione e longevità della patina
La brunitura, soprattutto quella a freddo, vive grazie a un film di olio. Una volta alla settimana, gli oggetti maneggiati di frequente vanno ripassati con panno imbevuto di olio a bassa viscosità; se si tratta di coltelli da tasca, basta la patina di grasso residuale della pelle, purché asciutti dopo la pioggia. Per componenti che lavorano sotto attrito – come snodi o guide – la brunitura va affiancata a lubrificante solido (bisolfuro di molibdeno o grafite) per sfruttare la micro-porosità. In ambienti marini o umidi il film d’olio dovrebbe contenere inibitori di corrosione (VCI); diversamente la vita della patina si riduce, perché i cloruri penetrano negli interstizi e ruggine rossa scavalca l’ossido nero.